Il Comune di Sant’Antonino fa parte del territorio del Cantone Ticino (Svizzera) e si trova nel Sopra Ceneri, sulla sponda sinistra del fiume Ticino, in parte sul Piano di Magadino, bonificato verso il 1930, ed in parte sulle pendici della catena montuosa che costeggia la vallata.
Fin verso il 1820, era sempre il Consiglio Patriziale che reggeva le sorti del Comune che, “de jure”, esisteva sin dalla fine dell’800, anche se la nascita effettiva del Comune avvenne nel periodo 1820-25, quando a seguito di un numero maggiore di “stranieri ma da tempo qui” si costituì l’Assemblea comunale separata da quella patriziale ed il Municipio. Ma proprio perché la popolazione era poi piccola, i membri dell’Amministrazione patriziale erano anche i Municipali e non era raro che si confondessero oggetti e competenze dei due organi. Solamente nel 1925 si separarono nettamente le due autorità con competenze e responsabilità distinte: al Comune la gestione degli affari civili, al Patriziato la gestione del territorio e dei terreni di proprietà patriziale.
Il Patriziato, che aveva ceduto senza nessuno scritto o contratto al Comune quella che divenne poi la casa Comunale poteva usufruire fin verso il 1970 di uno spazio per le Assemblee e per le votazioni, di una scrivania e di un archivio presso la cancelleria comunale.
Il paese confina ad est con Camorino, a sud con Isone, ad ovest con Cadenazzo ed a nord con Gudo e Giubiasco.
Il nucleo del paese si trova su un cono formato da ben tre torrenti (Valle dei Biaggini, Valle dei Crotta e Valle di San Carlo), con una bella Chiesa che ha un campanile romanico, la Casa Comunale e la Casa Patriziale.
Vi sono poi tre frazioni “antiche” denominate Matro, Vigana e Paiardi.
Il Paese è situato sulle pendici del cosiddetto “Motto del sole”, proprio perché nasconde il sole durante l’inverno per un mese ed oltre. Questa comunità ha radici molto antiche nella storia dei tempi, se diamo fede ai reperti di scavi archeologici.
I ritrovamenti di questi scavi testimoniano che il territorio del comune è situato sull’antica via che congiungeva il nord ed il sud indicandolo come importante luogo di transito. Fra gli oggetti ritrovati spiccano piccole medaglie ed una trentina di monete. Il ritrovamento più importante è certamente la moneta di Bronzo coniata per l’imperatore Costantino il grande entro il 337 d.C. Altri ritrovamenti suggeriscono che questo agglomerato era sicuramente noto al tempo dei Romani.
I diversi lavori di manutenzione della chiesa in questi ultimi decenni hanno dimostrato come questa sia stata una delle prime costruzioni religiose del Bellinzonese. Edificata fra l’850 ed il ‘950, venne dedicata a Sant’Antonino martire di Piacenza, da qui il nome del comune. L’attuale edificio è il risultato di una costruzione a più tappe. Nel pezzo più antico ora è situata la sacrestia. Esiste in oltre un documento dell’epoca che attesta come la comunità Cristiana di S. Antonino fosse stata la prima della zona ad essersi staccata dalla Parrocchia di Bellinzona.
Principalmente nel nucleo, ma alcune tracce le si trovano ancora anche su tutto il territorio comunale, si possono ancora constatare dei manufatti e degli edifici che testimoniano come la realtà della comunità di S. Antonino, negli anni passati, fosse una realtà tipicamente rurale. Un’iniziativa promossa da alcune società locali ha permesso di “aprire al pubblico” alcune abitazioni, posti di lavoro e cantine private, permettendo di scoprire questa realtà paesana ormai andata, sana e genuina, che ha dovuto cedere il passo al modernismo.
Fra le vecchie case arrivate a noi la più rappresentativa è forse la “ca vegia di Bass” che era abitata ancora fin verso il 1980, senza comodità ma bella, con il suo “tòrc”, oramai in disuso come tale e visitabile, per l’appunto, in occasione della tradizionale festa del magg che si svolge ogni anno a fine maggio.
Il comune di S.Antonino ha subito un radicale mutamento nel suo aspetto a partire dai primi anni settanta. Da quel momento infatti si nota una forte crescita demografica del comune che nel volgere di quasi quarant’anni ha visto il numero di abitanti più che triplicato. Il comune ha così radicalmente cambiato volto. Se fino ad allora si potevano considerare gli insediamenti arroccati fra il nucleo del paese e le zone discoste di Vigana e Paiardi più qualche realtà rurale sparsa nel territorio, con le forti espansioni abitative sono stati creati “de facto” dei nuovi quartieri Nosetto, Essagra ed il forte sviluppo della zona collinare ai Paiardi.
In considerazione di queste espansioni demografiche è stato ratificato nel corso del 2010 il nuovo Piano Regolatore di S. Antonino.
Se gli anni settanta e ottanta hanno visto principalmente crescere gli insediamenti abitativi, con lo sviluppo dei nuovi quartieri citati in precedenza, dagli anni novanta si constata una forte espansione della zona industriale con gli insediamenti di grosse superfici di vendita.
Al fine di riuscire a disciplinare maggiormente questi insediamenti il Comune, in collaborazione con il Cantone Ticino, nel 2008 ha optato per l’introduzione di una zona di pianificazione analoga a quella del Pian Scairolo (Grancia) che blocca di fatto la possibilità di richiedere nuovi insediamenti. Questa fase di blocco avrà una durata minima di cinque anni. Questo tempo dovrebbe servire a studiare il problema dello sviluppo della zona dal profilo logistico e viario. Infatti il Municipio di S. Antonino ha voluto muoversi anzi tempo prima di trovarsi una zona industriale completamente paralizzata dal traffico senza poter più applicare delle soluzioni ottimali per arginare il problema.
Testimonianze di un S. Antonino antico:
(fonte: testi tratti da un documento distribuito agli allievi delle scuole elementari)
“El caréta“
Pietro Nonnella, figlio di Silvestro, nato verso la metà dell’800, era figlio di una numerosissima famiglia, non benestante, anzi, piena di debiti per le famose terre date ai contadini in affitto dal Capitolo della Collegiata di San Pietro … con canoni esosi.
Per aiutare finanziariamente la famiglia, fu inviato prestissimo a Milano, la capitale lombarda che aveva sempre bisogno di spazzacamini, in inverno, con “el verzasca”, assieme ad altri bambini delle vallate ticinesi, altrettanto poveri.
Laggiù, lontano da casa, il giovincello aveva visto qualcosa che sicuramente avrebbe potuto servire a suo padre ed a lui stesso nelle faccende da contadini. Si mise in testa di risparmiare sul cibo per poter comperare quell’oggetto.
E così, terminata la stagione verso il 1870 e tornato a casa, al porto di Gudo, attraccando le barcaccie del Lago Maggiore, scaricava il frutto delle sue privazioni; una “caréta” (=carriuola).
La spinse attraverso “el careng” attraverso il piano fino a casa, su al Matro; era la prima che arrivava in paese.
I buontemponi che videro quel giovane spingere faticosamente la carriola attraverso il piano, ignari dell’utilità di quell’arnese e del risparmio di fatiche, non seppero trovar di meglio che ridere sul fatto e soprannominarlo “el caréta”.
Ma, il tempo è galantuomo, il padre di Pietro faticava meno a trasportare fuori il letame dalla stalla e terminava prima i lavori.
Ben presto, quell’innovazione fu presto copiata da tutti quanti.
“La Carà scüra“
Oggi, via Cimitero è una comoda via asfaltata che porta dalla Chiesa al Cimitero, ma fin dopo la metà del secolo scorso, era la “carà scüra”, via principale che, dal paese, portava verso i campi del piano. Abbastanza larga da permettere il passo ai carri trainati dai buoi, ma “scüra cuma in boca” (oscura come dentro una bocca chiusa).
Il cimitero, che prima delle innovazioni napoleoniche si trovava sul terreno attorno alla chiesa recintato da un grosso muro tutt’ora esistente e che conserva il nome “sementeri”, forse era anche troppo piccolo, venne spostato proprio dove si trova ora, su un terreno donato alla comunità dai genitori della “pora Carain” (defunta Maria Barboni) la stessa che, morta senza discendenza, lasciò buona parte dei suoi beni alla comunità. Ma la via per accedere al cimitero era un vero susseguirsi di buche e pozzanghere
Si racconta che, verso il 1890, la comunità parrocchiale decise di por fine “ai scarpüsc” e di stendere un acciottolato su quell’importantissima via.
Fu così che, sotto la direzione tecnica del parroco e quella pratica del “mapöo” (Severo Bassi), subito dopo la messa domenicale (celebrata celermente per aver più tempo a disposizione), liberati dall’osservare il riposo festivo come altrimenti sarebbe stato consuetudine inderogabile, tutti i maschi prestavan man forte per fare l’acciottolato, “el riciöo”, utilizzando sassi tondeggianti raccolti sul greto di ruscelli; l’opera si completò con la costruzione di due muri a secco che sostenevano la terra delle piccole vigne o orti ai lati della “carà”. Alcuni ricorderanno ancora sicuramente con nostalgia quella viuzza con una fila di gelsi al lato.
L’opera terminata piacque a tutti cosi si estesero i lavori ad altre strade (via Chiesa e via Paese, Matro, ecc.). La pavimentazione di Via Cimitero si poteva vedere ancora fin verso il 1970, mentre tutt’ora è visibile solo l’acciottolato che sale al Matro.
L’albero dei ricordi
Testo redatto da Tino Bognuda che racconta della realtà rurale di S. Antonino prima che il comune conoscesse l’attuale espansione demografica.